Di: Dejanira Bada
“La solitudine del deserto consola la mia stessa solitudine”
Gertrude Bell
Lei era “al Khatun”, la regina del deserto, una donna “col cervello da uomo”, non una femminista, una che si oppose con forza alla libertà di voto, –sosteneva che le inglesi non avessero né la cultura né l’educazione necessaria per prendere decisioni politiche.
Pochi sanno che fu lei a far incoronare Re Faysal I, fu lei a disegnare le mappe che permisero a Lawrence D’Arabia di guidare la rivolta araba, fu lei l’unica donna a partecipare alla Conferenza del Cairo nel 1921 con Winston Churchill in persona, e fu lei a contribuire a tracciare quelli che oggi sono gli attuali confini dell’Iraq.
Eppure non è veramente famosa, forse proprio perché donna. Lawrence è un mito e lei misconosciuta.
Sto parlando di Gertrude Bell, una donna che non si sposò mai, sfortunata in amore, ma che capì il deserto e i suoi beduini come nessun occidentale al mondo.
Nacque nel 1868 a Washington Hall, da una ricca famiglia d’industriali. A sedici anni frequentò il Lady Margaret Hall di Oxford, dove si diplomò nel giro di un paio d’anni. Imparò il farsi, l’arabo, parlava l’italiano, il francese e il tedesco. Fu un’archeologa, una spia inglese, una gran viaggiatrice; visitò la Persia, la Palestina, la Siria; visse a Gerusalemme, a Teheran, a Baghdad, città in cui morì sola, pare per un overdose di sonniferi.
Fu una poetessa, una scrittrice, e il suo “The Desert and the Sown”, del 1907, è un libro bellissimo.
È arrivata al grande pubblico grazie a un film in stile hollywoodiano del regista Werner Herzog, dal titolo “Queen of the Desert”, del 2015. Il ruolo della Signora Bell è stato affidato a Nicole Kidman, e tra gli attori troviamo anche James Franco, nei panni del primo amore della Bell, e Robert Pattinson, nei panni di… T. E. Lawrence, pace all’anima sua e dell’indimenticabile Peter O’Toole.
Ma non voglio parlare di politica, di Medio Oriente, ma del deserto, l’unico e vero grande amore di Gertrude Bell.
Quando ho scelto di organizzare dei ritiri Yoga nel deserto, l’ho fatto con un unico intento: far conoscere alle persone la magnificenza del deserto.
Le distese di nulla e di sabbia hanno qualcosa di profondamente spirituale, oltre ai tramonti, al silenzio, a quella polvere che entra nel respiro e nella pelle e che ci ricorda chi siamo e da dove veniamo. Ci si sente a casa, in pace, finalmente arrivati, dopo tanto vagare. Nel deserto non si fanno domande e non si ha bisogno di risposte.
L’amore è niente più che un suppellettile.
Si è soli con se stessi e non c’è più bisogno di scappare.
Ma non bastano parole, poesie e romanzi per trasmettere quello che il deserto è in grado di donare pur essendo intriso del suo apparente niente.
Ognuno deve andare nel deserto e scoprirlo e scoprirsi.
E anche Gertrude se n’era follemente innamorata perché aveva colto la grandezza e la potenza di quei luoghi. Dedicò la sua vita a quei granelli di sabbia, a quel nulla in cui, nonostante l’impervietà, germina vita. Ci sono scorpioni, insetti, strani animali ma soprattutto loro, i beduini, i padroni del deserto. E Gertrude li ha incontrati, li ha intervistati, li ha guardati negli occhi, li ha conosciuti come nessuno mai aveva fatto prima, e loro furono accoglienti con lei, nonostante fosse una donna, nonostante viaggiasse soltanto con un paio di uomini al seguito, nonostante fosse un’occidentale.
Lei li capiva e loro capivano lei. Lei li stimava e loro stimavano lei. Lei era lì perché il suo cuore era diventato più arido del deserto, e loro perché c’erano nati, ma non faceva molta differenza.
“Vede nel deserto desolato il più antico degli amici e segue la via
Che sopra di lui percorre la Madre di tutte le stelle riunite in cielo.”
Taʾabbaṭa Sharran

Gertrude e Lawrence
Per noi occidentali, per noi annoiati viziati benestanti, un viaggio nel deserto, in luoghi selvaggi, si può trasformare in uno dei pochi momenti esaltanti dell’esistenza, un po’ come scrive Bell nel primo capitolo del romanzo “The Desert and the Sown”, che in Italia è tradotto arbitrariamente “Viaggio in Siria”.
Il deserto è uno di quei luoghi da vivere prima di morire. Basta andarci una volta per capire di cosa si tratta. La voglia, il bisogno impellente di tornarci, sarà qualcosa da esaudire a tutti costi, sarà un richiamo che non si potrà ignorare.
Lo yoga cambia la vita ma è quando si torna dal deserto che non si è più gli stessi.
Una volta, una partecipante al ritiro in Giordania nel deserto del Wadi Rum, mi ha chiamato per caso “La regina del deserto”. Ancora non conoscevo Gertrude Bell ma la stima che oggi ho per questa immensa donna mi rende fiera di essere stata chiamata per caso anch’io così.
Non sarò mai regina del deserto. La corona è e sarà sempre di Bell e ogni volta che ci tornerò penserò un po’ a lei, a Lawrence, e a tutti quelli che come loro sono stati rapiti dal fragore del deserto.
Unitevi a noi per il prossimo ritiro Yoga nel deserto degli Emirati Arabi!